Compiti a casa: sì o no?
Da che ne ho memoria, la questione "compiti a casa" è sempre stata cruciale all'interno del dibattito scolastico e quando parlo di "dibattito scolastico" intendo soprattutto quello che avviene tra le mura domestiche, in cui genitori e figli si ritrovano, insieme, a dover affrontare uno degli argomenti più spinosi riguardanti la scuola.
Spesso i genitori se ne lamentano, gli studenti li odiano, gli insegnanti li assegnano con poca convinzione. Ovviamente non intendo ricorrere ad alcuna generalizzazione, ciò che scrivo è dettato solamente dalla mia esperienza personale e dalle mie competenze professionali.
Così, ieri sera abbiamo cercato di capire quale fosse il punto di vista della nostra community sull’argomento, utilizzando l’enorme potere dei social.
Sostanzialmente le risposte che ci sono arrivate possono essere sintetizzate in questo modo:
-
Sono utili perché altrimenti non si riuscirebbe a ricordare ciò che si è studiato in classe ma potrebbero assegnarne di meno in modo da lasciare spazio ad altre esperienze
-
Non servono a niente, anzi ledono alla creatività dello studente
Bene. Vi dico subito che mi rincuora sapere di avere lo stesso punto di vista di chi ci segue, perché anche se le due affermazioni precedenti possono sembrare completamente in antitesi, io le condivido entrambe.
Credo, infatti, che i compiti siano utili dal momento in cui la didattica sia povera di stimoli, improntata sull’apprendimento mnemonico e incentrata sull’inseguimento spasmodico di un fantomatico programma che (rivelazione dell’anno) neanche esiste!!!
Dovrebbero cambiare tante abitudini, nel mondo della scuola, prima di poter abbandonare la pratica di assegnare compiti a casa.
Detto in poche parole: se mi parlano, magari senza alcun tipo di entusiasmo, di una cosa di cui non vedo utilità e non ho interesse, anch’io devo ripetermela milioni di volte per poterla fissare nella testa fino a quando ho bisogno che ci rimanga.
Quindi, sono d’accordo, i compiti a casa sono utili a fissare gli argomenti studiati in classe perché le nozioni sono trasmesse con metodi che non hanno alcuna rilevanza pedagogica.
Mi scuso per la mia fermezza, forse sono un po’ troppo dura ma, da pedagogista e soprattutto da ex studentessa, sono consapevole dei danni che questa “usanza” può comportare.
Per riuscire a spiegare a fondo ciò che intendo, mi fa piacere analizzare insieme la risposta che ieri sera ci è giunta da un ragazzo liceale:
“Sinceramente lo dico, secondo me in questo momento è tutto inutile, serve qualcosa che stimoli la creatività di un ragazzo su un banco di scuola, troppo facile dare dei compiti che poi a casa uno può copiare da internet o fare con frustrazione”.
Cosa ci sta dicendo questo ragazzo?
Per me ci sta chiedendo di fare uno sforzo in più come educatori. Ci sta mostrando chiaramente quanto sia falsa, superata, macchinosa la retorica del compito a casa. Ci sta dicendo, senza neanche troppi giri di parole, che è una presa in giro. Perché? Perché chi riesce a non sottostare alla logica del ricatto del voto e del “bravo” o “cattivo”, sa che per andare avanti nel mondo scolastico è necessario trovare delle strategie (“faccio i compiti a casa copiandoli da internet”).
I compiti a casa, così come i voti, portano a questo: allo studio esclusivamente per il risultato. Chi, invece, ha un altro modo di rispondere agli eventi che gli capitano intorno, per inclinazioni caratteriali o chissà per quale altro motivo, e non si accontenta di studiare solamente per questo, ottiene come risultato la “frustrazione”.
Frustrazione. Ha usato proprio questa parola qui. Una parola che rimbomba forte come un pugno. Una parola in cui ritrovo la me studentessa, piegata sui libri a maledire il giorno in cui ho scelto di continuare gli studi e a sognare il giorno in cui non avrei più dovuto sottostare a determinati meccanismi.
Alcuni ragazzi si sentono frustrati dai compiti a casa. E quanti tra i genitori possono dire il contrario? Quante urla durante il weekend affinché i bambini si siedano alla loro scrivania e completino i compiti per il lunedì? Quanti giorni di vacanza persi per finirli?
A quale scopo poi? Per imparare in maniera meccanica apprendimenti che potrebbero essere toccati con mano, vissuti col cuore, catturati con la mente.
Perché sì, un’alternativa esiste e si chiama “apprendimento esperienziale”.
Sempre il ragazzo di cui sopra, ci suggerisce la via: “serve qualcosa che stimoli la creatività di un ragazzo su un banco di scuola” e io vi dico che quel “qualcosa” è proprio il farlo alzare dal banco!
Non c’è un pedagogista che ci spieghi l’utilità del banco o dei compiti a casa ma ce ne sono molti che ci invitano a presentare il mondo ai nostri studenti, ad accompagnarli nel loro cammino d’apprendimento all’interno della vita tramite esperienze concrete.
Provate ad insegnare ad un bambino a camminare spiegandoglielo attraverso un libro, piuttosto che lasciarlo libero di gattonare ed accompagnarlo a lasciare la presa per stare eretto.
Perché dovrebbe essere diverso per gli apprendimenti successivi?
Certo, i libri servono. Ma anche l’amore per la lettura va coltivato, va stimolato, va curato.
Non è attraverso l’imposizione, il ricatto, il giudizio che si apprende.
Siamo essere viventi, mossi dal desiderio di imparare, di scoprire.
Non spegniamo questo fuoco!
Ilaria 1