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Capranica 2022: 9 su 10 le cose si sistemano da sole

Con i pensieri ancora caldi, i muscoli ancora indolenziti, la cesta dei panni sporchi ancora da svuotare e lo stesso spirito narrativo di quel #forsenontuttisannoche con cui abbiamo narrato la prima esperienza di campo invernale (chi si è perso il racconto, può recuperare a questo link: #forsenontuttisannoche Capranica), voglio raccontarvi l’ultima esperienza a Capranica, che si è conclusa proprio l’altro ieri.

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Non scriverò menzogne, perché tutto è partito male, malissimo e ci terrei a precisare che sono molto contenta di poter tramandare questo racconto, perché significa che sono sopravvissuta (il che non era scontato, cosa di cui a breve vi renderete conto da soli).

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Infatti, dopo un’escalation di lunghissime riunioni online (il che rende tutto più complesso) su come organizzare il campo ma soprattutto sul “non staremo a fa ‘na grandissima cavolata?”, tema ricorrente dell’ultimo periodo visto il picco dei contagi natalizi, alcuni membri dello staff vengono a conoscenza di essere contatti diretti di una persona risultata positiva al covid. Tampone rapido “fai da te”, l’ennesimo tampone degli ultimi giorni e, come dai peggior pronostici, il risultato che non avremmo mai voluto leggere.

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Sono le 22 del 2 Gennaio 2022.

Partenza prevista la mattina seguente ore 8.

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Mo che ci inventiamo? Lacrime, risate isteriche, disperazione, mente che lavora alla velocità della luce.

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Per fortuna, nonostante ciò che segna il tampone, stiamo tutti bene. Sicuramente un pensiero in meno di cui preoccuparsi.

Segue comunque un grande panico per circa le due ore successive. Cerchiamo di essere ragionevoli. L’altra parte dello staff, quella ancora disponibile, non ha avuto nessun contatto con quella contagiata e quindi, in un momento di estrema follia, decidiamo di partire lo stesso.

Sono due anni che, per un motivo o per l’altro, rinunciamo al campo invernale, non possiamo dare l’ennesima delusione ai ragazzi e alle ragazze a pochissime ore dalla partenza.

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Nel frattempo si sono fatte le 00.30, carichiamo la spesa nella macchina di Scienzi, prepariamo le valigie alla rinfusa e ci mettiamo a letto, rigirandoci di continuo perché ci sono mille lati organizzativi da modificare.

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Non c’è tempo per pensare, sono già le 7.15 e dobbiamo partire. Siamo solo in tre, il che significa che uno è off limits perché deve prendere la macchina per portare la spesa, gli altri due devono prendere il cotral con 28 ragazzi e ragazze.

30 persone sul Cotral. Dobbiamo essere molesti per forza: che non si dica anche questa volta che “il mister s’è fatto fregà il pullman dagli scout”!

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Ignari di tutto, iniziano ad arrivare gorillini emozionati e genitori ansiati (se solo sapessero l’ansia nostra!).

Ma 9 su 10 le cose si sistemano da sole e non c’è bisogno di nessuna mossa molesta: l’azienda Cotral Spa ci riserva un pullman solo per noi e ci facciamo un viaggio di lusso dritto dritto, senza fermate, fino a Capranica.

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Incredibile! Siamo arrivati! Siamo pieni di entusiasmo ma c’è un sacco di roba da sistemare, preparare, compreso il pranzo, e siamo sempre solo in tre. Nel frattempo, dopo un brevissimo cerchio di benvenuto, diciamo ai ragazzi e alle ragazze di sistemarsi nelle stanze: a voi la scelta dei compagni e delle compagne con cui condividere letto, puzza di piedi, russate e chiacchiericcio notturno.

Vi lascio solo immaginare il caos seguente.

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Ma si sa che “in principio era il caos” e poi tutto si sistema e si raggiunge l’armonia, no?

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Cerchiamo di consolarci con questo pensiero mentre sono le 12.00 e noi ci stiamo già pentendo di aver scelto di partire lo stesso. I ragazzi e le ragazze sono euforici e non nascondono neanche un briciolo della loro vitalità. Porte che sbattono, pugni che bussano, voci che urlano, gente che corre da una parte e dell’altra, cuscini che volano, aste dei letti che faticano a reggere il peso di salti esuberanti.

Ok, penseremo dopo alla preparazione della merenda e del pranzo. Al massimo mangeremo tardi, ora è tempo di dedicarsi ai ragazzi e alle ragazze.

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Così, complice un bel sole che ci viene in aiuto, facciamo un lunghissimo cerchio di autorganizzazione in cui scegliamo insieme le modalità di convivenza di questo residenziale.

Su una sola cosa però siamo intransigenti: le porte delle stanze devono rimanere aperte.

C’è chi prova ad eludere la regola proponendo delle “password” da dichiarare per poter far aprire le porte, chi semplicemente si lamenta come se fosse la notizia peggiore che potessimo dare.

Per noi è una regola necessaria: dobbiamo ancora conoscere questo gruppo, non vogliamo fare i controllori ma abbiamo bisogno di poter percepire anche il minimo segnale dall’esterno delle camere.

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Il cerchio lascia a desiderare in quanto a partecipazione ma il tutto è comprensibile: vogliono esser lasciati liberi di esplorare il posto, conoscere i compagni e le compagne d’avventura, godersi il momento.

Così decidiamo di dedicare una parete al cartellone degli accordi di convivenza trovati, con uno spazio dedicato all’iscrizione come “aiuto chef” ed un altro per le proposte (che il primo giorno, come era prevedibile, non sono altro che: “tenere le porte chiuse”).

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La giornata passa faticosamente tra noi che tentiamo di trovare la quadra organizzativa per non annaspare e i ragazzi e le ragazze che esigono spazi “privati” in cui starsene con il proprio gruppetto e allo stesso tempo trovano i modi più disparati per fare la conoscenza degli altri.

Come al solito, è il gioco a venirci in aiuto e così giocare insieme in giardino fa emergere le caratteristiche di ognuno, punti di forza e di debolezza, nuove amicizie ed intese. Il gioco ci dà la possibilità di vederci ed esprimerci senza filtri. Nascono nuove complicità, sorgono i primi soprannomi, emergono i primi amori.

In un batter d’occhio sono le 19.00: chiamate da casa, cena, qualche lacrima di nostalgia ed un rito della buonanotte che ci rende tutti e tutte più uniti.

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Il giorno dopo è tutta un’altra storia: si inizia a respirare la vera atmosfera dei campi residenziali che ci piacciono, quella fatta di curiosità nei confronti dell’altro, di apertura, di un misto tra paura ed intraprendenza, di voglia di mettersi in gioco, di condivisione.

Sono i ragazzi e le ragazze a mostrarcelo, non solo con i fatti ma anche con le parole: “Oggi va meglio, perché ci conosciamo di più!”.

Ed è proprio vero che il gioco è il veicolo d’apprendimento e di relazione più potente che abbiamo!

Ricordiamocelo quando guardiamo i bambini e le bambine e sospiriamo infastiditi “non fa altro che giocare!” come se fosse qualcosa di sbagliato.

Così mi lascio andare a questa banale intuizione e mi emoziono nel vedere come il caos del giorno prima si è magicamente trasformato in un trambusto organizzato dove, nei momenti liberi, non c’è solo chi si rintana con il suo gruppo in camera ma anche chi organizza partite a nascondino all’interno del casale coinvolgendo i più piccoli, chi si mette nel salone comune a disegnare, giocare a carte o a qualche gioco di società, chi chiede se può aiutare a pulire o cucinare.

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In un attimo quella sensazione di voler scappare svanisce e cede il posto al desiderio di non voler andare via mai più.

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Potrei raccontare tanti altri aneddoti come il potenziale aggregativo di un falò al calare del sole, come la meraviglia delle domande che genera una passeggiata nel bosco, come la soddisfazione negli occhi di chi è riuscito ad affrontare la prima notte lontano da casa, come il vociferare notturno proveniente dalle stanze che senti piano piano affievolirsi, come l’incontro con dei cuccioli di cane che hanno il grande potere di unire il gruppo e di sottolineare quanto ci manca chi non è potuto venire, come quel ragazzo presentato come "oppositivo" che interrompe il rumoroso chiacchiericcio durante un gioco per ammonire gli altri in difesa di una compagna più piccola ("Datele tempo! Un attimo, ha bisogno di tempo!" dice, cercando poi strategie per supportarla), come la capacità di dichiarare le proprie emozioni difronte ad un gruppo di persone sconosciute fino al giorno prima.

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Potrei narrare di come, nonostante fossimo in tre, spesso ci ritrovavamo in due perché, nel corso delle giornate, ci rendevamo conto di aver lasciato pezzi di spesa importanti in un carrello che probabilmente qualche fortunato ha trovato abbandonato al supermercato e quindi corri a Capranica a comprare polenta, carote, ecc ecc.... Che poi è un attimo che da "il mister s'è fatto fregà il pullman dagli scout" diventa "i Gorilla se so' fatti fregà il carrello della spesa".

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Potrei descrivere i dettagli di un ritorno in cui abbiamo rischiato di perdere il pullman mentre il cielo minacciava pioggia, tanto per non farsi mancare niente!

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Potrei anche scrivere di ciò che sento dentro di me quando, dopo neanche qualche ora insieme, senti già chi chiede alla mamma e al papà se il prossimo anno può tornare.

Potrei ma in realtà non posso perché un’esperienza così si può raccontare sicuramente ma i dettagli, gli odori, le sfumature emotive, le sensazioni sulla pelle, i dialoghi, le confidenze in cerchio, le risate, le battute non trovano parole tanto chiare per poter emergere. Rimangono però sicuramente incisi dentro qualche calda parte di noi stessi.

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Grazie a tutti i genitori che, nonostante le lecite preoccupazioni, ci hanno dimostrato immensa fiducia.

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Grazie a tutti e tutte le persone dello staff Gorilla, presenti fisicamente ma anche a quelle presenti solo con il pensiero, perché questo è un lavoro di squadra ed è bello sapere di aver sempre qualcuno su cui contare.

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Grazie ai ragazzi e alle ragazze, ai bambini e alle bambine, che ci ricordano sempre, in ogni momento, ed ancora dopo tanti anni, le motivazioni che ci spingono a farlo!

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Ilaria

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